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Martedì 7 Febbraio 2017
Migranti in Serbia, un'emergenza senza fine   versione testuale

Mentre nei giorni scorsi a Malta i principali leader europei definivano le modalità per poter chiudere la "rotta mediterranea" cercando di bloccare gli sbarchi tramite un discutibile accordo con la Libia, sono stati sottolineati da più parti i "buoni risultati" raggiunti nell'ultimo anno grazie al simile (e altrettanto discutibile) accordo con la Turchia (marzo 2016) che avrebbe messo fine all'emergenza umanitaria lungo la "rotta balcanica".
 Ma le cose stanno realmente così? È davvero terminata l'emergenza umanitaria lungo la rotta balcanica? 
Anche per rispondere a questa domanda, è stata organizzata dal 31 gennaio al 4 febbraio una missione di monitoraggio in Serbia da parte di una delegazione italiana (rappresentanti di Caritas Ambrosiana, Caritas Tarvisina, IPSIA-Acli) insieme allo staff di Caritas Italiana e Caritas Serbia. La delegazione ha visitato la gran parte dei campi profughi presenti sul territorio serbo, oltre che i luoghi informali in cui i migranti transitano o sostano.
La Serbia ha rappresentato (e rappresenta ancora) l'ultimo paese della "rotta balcanica" prima dell'ingresso nell'Unione Europea, in Ungheria o in Croazia. Dall'estate 2015 (esplosione della crisi migratoria lungo la rotta balcanica) fino al marzo 2016 (accordo UE-Turchia per la chiusura della rotta stessa), la Serbia è stata attraversata da oltre 850.000 migranti, diretti per lo più in Germania, Austria, Svezia.
E poi? La rotta si è davvero chiusa e non ci sono più migranti, come sono andati dicendo i governanti europei a Malta?
I "buoni risultati" raccontati a Malta sono forse quelli di chi guarda soltanto all'interno del territorio comunitario: da marzo 2016 infatti i numeri di ingressi di migranti nel territorio dell'UE provenienti dalla rotta balcanica sono infatti drasticamente calati. Ma l'emergenza non è per nulla terminata: è stata solo trasferita fuori dai confini comunitari, in paesi come la Serbia, oppure nei paesi più periferici del continente, come la Grecia. 
 Ad oggi 62.401 migranti si trovano in Grecia, con centinaia di nuovi arrivi dalla Turchia settimanalmente (254 solo la settimana scorsa, già 1464 dall'inizio dell'anno - dati UNHCR). In Serbia i migranti sono 7.900, di cui 6.501 all'interno dei 17 campi profughi ufficiali (dati UNHCR); si contano decine di arrivi ogni giorno illegalmente, per lo più dalla Macedonia e dalla Bulgaria, mentre solo 10 persone sono autorizzate giornalmente ad entrare in Ungheria (5 dal confine a Kelebija, 5 dal confine a Horgos) e nessuno è autorizzato ad entrare in Croazia.
La tendenza, sia in Grecia sia in Serbia, è dunque quella di un graduale ma inarrestabile crescita del numero di arrivi e di presenze di migranti sul proprio territorio: ad aprile in tutto il territorio della Serbia erano presenti solo 950 migranti, oggi sono quasi 8.000. Molti campi sono già sovraffollati, ben oltre le proprie capacità.
 
Condizioni gravi dentro i campi, disumane al di fuori
 La missione di monitoraggio ha toccato 6 campi profughi ufficiali in Serbia: Krnjaca (area di Belgrado), Sid, Adasevci e Principovac (area al confine con la Croazia), Subotica (area al confine con l'Ungheria), Bogovadja (Serbia occidentale). Inoltre, sono stati visitati i 2 principali luoghi informali di transito e sosta dei migranti irregolari nel territorio serbo: a Belgrado negli edifici abbandonati dietro la stazione dei treni, e a Subotica in una abbandonata fabbrica di mattoni.
Nei campi profughi ufficiali, soprattutto quelli al confine con la Croazia, sono state evidenziate gravi carenze strutturali, igieniche e sanitarie. Centinaia di persone sono costrette a dormire in strutture temporanee, sovraffollate e inadatte per l'inverno. Sono poche le toilette e le docce, le aree comuni sono molto sporche così come le camerate. Non ci sono spazi adeguati per i bambini, per le donne, per i nuclei familiari. Mancano le attività animative, educative o ricreative, per cui le giornate trascorrono spesso sempre uguali, noiose. In generale, i campi profughi ufficiali sono scarsamente equipaggiati e eccessivamente sovraffollati - molti sono ben oltre le proprie capacità di accoglienza.
Estremamente gravi sono poi le condizioni dei luoghi non formali. In questi luoghi sono presenti circa 1.000-1.500 persone: coloro i quali che, per ragioni varie, preferiscono non farsi identificare e rimanere fuori dai campi governativi.
Nei luoghi improvvisati in cui stanno, manca praticamente tutto: i migranti dormono per terra in edifici abbandonati che spesso non hanno nemmeno le porte o le finestre. Per poter riscaldare questi edifici (le temperature hanno toccato anche i -17 gradi questo inverno) viene bruciato ciò che si trova, creando dunque una coltre di fumo che rende l'aria irrespirabile all'interno degli stessi edifici. Non ci sono servizi igienici nè fognature nè un sistema di raccolta rifiuti, per cui gli edifici sono attorniati da un misto di immondizia, sporcizia e latrine, che provocano odori nauseabondi e grossi rischi igienici e sanitari. Manca l'acqua corrente per cui viene usata la neve circostante o l'acqua piovana per dissetarsi e lavarsi. La vita di centinaia di persone è quotidianamente messa a grave repentaglio in questi luoghi.
 
Il rischio di una nuova emergenza umanitaria
I migranti che decidono di farsi identificare e dunque entrare nei campi profughi governativi, vengono inseriti in un enorme "listone", che regola l'ordine di chi può entrare in Ungheria. Quando tocca ad uno di loro, vengono chiamati, si presentano al confine ungherese, dove vengono identificati e lasciati passare. 
Purtroppo, con l'ingresso di sole 10 persone al giorno, i migranti aspettano il proprio turno in Serbia anche più di un anno - sapendo che però, prima o poi , l'occasione giusta toccherà anche a loro. 
Nonostante questa lunga attesa e le precarie condizioni nei campi, non si sono però verificati gravi episodi di violenze o proteste tra i migranti. Infatti, chi giunge in Serbia  non vuole "creare alcun problema" oramai giunto alle porte dell'UE: i migranti accettano passivamente dunque qualsiasi condizione, anche le più gravi, pur di non vedere sfumare la propria occasione di passare.
 Il sistema è dunque molto fragile, è già molto spesso al di sotto dei minimi standard di accoglienza dignitosa. Si mantiene però stabile perché si basa tutto su quella possibilità concessa dall'Ungheria di entrare prima o poi, seppur in piccolissimi numeri, nel proprio territorio: questo appunto basta finora a garantire un minimo di ordine in Serbia, almeno all'interno dei campi. 
L'emergenza migratoria in corso, però, rischia di trasformarsi in una gravissima emergenza umanitaria qualora l'Ungheria decidesse di chiudere completamente il confine. La preoccupazione è ampiamente motivata: negli ultimi mesi l'Ungheria ha ridotto il numero di ingressi consentiti da 60 a 40 al giorno, passando poi a 20 e ora solo a 10. Il prossimo passo potrebbe essere la chiusura completa del confine: questo potrebbe scatenare il caos in Serbia, con episodi di proteste dentro i campi e con un moltiplicarsi di tentativi di passare illegalmente i confini - spesso frenati con la violenza dalla polizia e dall'esercito ungherese. 
La situazione migratoria in Serbia rimane dunque grave, emergenziale, e ancora molto instabile. Sono molto elevati i rischi di peggioramenti futuri.
 
L'intervento Caritas
Caritas Italiana supporta Caritas Serbia in questa emergenza migratoria fin dall'inizio della crisi, nell'estate 2015. Grazie ai propri fondi e ai fondi messi a disposizione della Conferenza Episcopale Italiana, Caritas Italiana ha contribuito sia ai programmi di emergenza (distribuzione di aiuti umanitari ai migranti in transito o in sosta) sia ai programmi di accoglienza diffusa (allestimento di strutture per interventi di medio-lungo periodo).
A gennaio 2017, Caritas Serbia ha lanciato un nuovo Appello d'Emergenza chiedendo al network Caritas di sostenere i vari interventi che si faranno nel corso di quest'anno: distribuzione di cibo (Caritas Serbia fornisce i pasti a circa il 60% dei migranti sul territorio), distribuzione di vestiti e di articoli per l'igiene personale, attività di animazione e formazione nei campi in cui è consentito farlo, servizi di lavaggio e asciugatura degli abiti dei migranti e delle lenzuola dei campi, ed altro. Caritas Serbia opera nei 9 campi profughi principali del paese.